Il medico sostituto di continuità assistenziale produce reddito di lavoro autonomo
Agenzia delle Entrate risposta a Interpello n. 414 del 25 settembre 2020
L’attività di medico sostituto di continuità assistenziale, iscritto all’albo professionale, è riconducibile all’esercizio di una attività professionale abituale e, pertanto, inquadrabile quale reddito di lavoro autonomo, i cui compensi rilevano tra i redditi professionali.
Se invece trattasi di attività occasionale i compensi rilevano tra i redditi diversi.
L’articolo 53, comma 1 del T.U.I.R. definisce redditi di lavoro autonomo quelli che derivano dall’esercizio di arti e professioni.
Per esercizio di arti e professioni si intende l’esercizio per professione abituale, ancorché non esclusiva, di attività di lavoro autonomo diverse da quelle considerate nel capo VI, compreso l’esercizio in forma associata.
L’Amministrazione Finanziaria ha chiarito che, in linea generale, l’esercizio della professione medica, salvo quella effettuata nell’ambito di un rapporto di lavoro dipendente (ad esempio l’attività libero professionale intramuraria del personale dipendente del Servizio Sanitario Nazionale), rientra nella previsione normativa di cui all’articolo 53, comma 1, del T.U.I.R. e, pertanto, il reddito che ne deriva, qualunque sia la prestazione effettuata, si configura come reddito di lavoro autonomo.
Con specifico riferimento alle attività di continuità assistenziale svolta da medici titolari è stato chiarito che gli emolumenti corrisposti dalle aziende sanitarie ai predetti medici sono da qualificarsi quali redditi di lavoro dipendente.
E’ stato chiarito che l’attività di medico sostituto di continuità assistenziale è riconducibile all’esercizio di una attività professionale abituale e, pertanto, inquadrabile quale reddito di lavoro autonomo, i cui compensi rilevano tra i redditi professionali o tra i redditi diversi, se trattasi di attività meramente occasiona